Fra i numerosi percorsi “romei” che da varie parti d’Europa e d’Italia raggiungevano la capitale della cristianità, uno dei più anticamente documentati è l’itinerario detto convenzionalmente via “francigena” o via “francesca”, via, cioè, proveniente dall’oltralpe franco-germanico. Ignoto era, peraltro, il concetto di “Via” intesa come percorso lineare ben identificato. Non si trattava propriamente di “una” strada ma di un'”area-strada”, di un insieme di percorsi usati in tempi diversi e forse con funzione diversa, a seconda dei tipi di traffico e delle vicende politiche, topografiche e climatiche delle varie zone.
Fra i numerosi documenti e memorie di viaggio che attestano i percorsi romei, uno dei primi e più famosi è quello che attesta il viaggio di Sigerico, arcivescovo di Canterbury. Del viaggio di Sigerico risalente all’incirca al 990, di ritorno da Roma dove si era recato in pellegrinaggio per ricevere direttamente dal papa Giovanni XV il “pallio” che sanciva la sua nomina a Arcivescovo di Canterbury, cioe’ a “Primate” di Inghilterra, resta uno scarno ma preciso elenco delle 80 tappe, o submansiones, del viaggio compiuto dalla sede papale fino alla costa atlantica (“de Roma usque ad mare”).
Il Consiglio Europeo ha adottato l’itinerario di Sigerico, giunto a noi in un importante manoscritto conservato pro la British Library di Londra, peraltro da tempo noto e pubblicato, (vedi qui) , come itinerario ufficiale del Cammino per Roma. La Via Francigena “ufficiale”, o meglio, convenzionale, è dunque quella documentata dal viaggio di Sigerico nel X secolo.
La sua configurazione più nota, tramandataci appunto dalle tappe di Sigeric, risale all’età longobarda: quando infatti i Longobardi nel sec. VI stabilirono il proprio dominio sull’Italia settentrionale e centro-meridionale, creando un regno con capitale Pavia, si trovarono costretti, per raggiungere i propri ducati al di là dell’Appennino, a cercare un percorso sicuro, lontano dagli itinerari romagnoli e liguri, di origine romana e certamente più comodi ma ormai controllati dai bizantini, i loro nemici irriducibili.
Diedero così impulso al percorso di Monte Bardone (‘Mons Langobardorum’), fra Fornovo, Berceto e Pontremoli, corrispondente grosso modo all’attuale passo della Cisa, attraverso cui raggiungere l’antico scalo marittimo di Luni, alla foce del Magra, e la Tuscia. Quando poi ai Longobardi subentrarono i Franchi, il percorso venne ampliato e consolidato in direzione della Francia (da cui il nome di “francigena”, attestato per la prima volta, non a caso, in documenti di questo periodo) e in direzione di Roma e del papato, che in Carlo Magno e nei Franchi aveva trovato preziosi alleati. Probabilmente fu allora che, con il consolidarsi dei traffici in direzione nord-sud, prese deciso impulso anche il pellegrinaggio verso i luoghi sacri della Città Eterna.
Non una sola Francigena, dunque, ma “tante” Francigene, confluenti tra di loro in alcuni punti nodali.
I più frequentati valichi “francigeni” trasalpini occidentali erano il Monginevro e il Moncenisio, confluenti, nel versante italiano, nel nodo viario di Susa. Altri punti di accesso erano il Grande e il Piccolo S. Bernardo, il cui sbocco sul versante italiano è la valle d’Aosta. Fra tutti questi valichi, uno dei più frequentati dai pellegrini fu certamente quello del Moncenisio, il cui percorso di accesso all’Italia è segnato dall’antichissima abbazia di Novalesa e dalla Sacra di S. Michele, sorta nelle vicinanze del luogo che vide l’esercito di Carlo Magno aggirare a sorpresa lo sbarramento posto dall’esercito di Adelchi, figlio di Desiderio, ultimo re longobardo, di manzoniana memoria.
Altre tappe fondamentali furono Pavia, ex capitale longobarda, Piacenza, nodo viario importantissimo, Fidenza, punto di snodo fra i percorsi di pianura e il valico di Monte Bardone, e sul tratto appenninico, le città di Fornovo e di Berceto. Al di là degli Appennini, il percorso toccava Pontremoli e Luni. La decadenza del porto di Luni, avvenuta a partire dal sec. VIII, portò allo sviluppo di Sarzana, di Massa e Pietrasanta, che, collocate lungo l’antica direttrice della via consolare Aurelia, divennero punti fondamentali del transito francigeno.
Dopo Pietrasanta, lasciata la zona costiera, insicura a causa delle incursioni piratesche, il percorso documentato dal viaggio di Sigeric toccava Camaiore, Lucca, Altopascio, splendido esempio di centro di assistenza ed ospitalità tra i meglio organizzati dell’Europa medioevale. Dopo Altopascio, il tracciato della Francigena toccava la Val d’Elsa e Siena. Da lì si innestava sulla Cassia romana, toccando Acquapendente, Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Capranica, Sutri, Monterosi. Alla Storta, nei pressi di Roma, i pellegrini preferivano lasciare la Cassia, che attraversava zone malsane e pericolose, per seguire l’antica Via Triumphalis ed arrivavano al Vaticano dal monte Mario, detto Mons Gaudii (‘monte della gioia’). L’accesso al piazzale della basilica di S. Pietro avveniva dal lato destro, dalla via del Pellegrino e dalla Porta Sancti Pellegrini lungo un tratto di strada che, non a caso, venne a lungo chiamato “ruga francisca” ‘strada dei franchi’.